TIM: Il canto del cigno

Al di là dei documenti ufficiali siamo alla fine di una storia.

La telefonia italiana è stata per tutto il ‘900 un punto di riferimento del settore conquistandosi una centralità nel sistema internazionale con tecnologie e modalità gestionali che ne avevano fatto il quarto gruppo a livello internazionale. Dalle tecnologie delle centrali fino a cavi sottomarini l’azienda pubblica di telefonia, nelle sue varie configurazioni che sviluppò, svolgeva un ruolo centrale a livello planetario.

Poi arrivò l’ideologia neo-liberista con il suo portato di liberalizzazioni e privatizzazioni e fu l’inizio della fine. Tutte le forze politiche italiane, tranne la Rifondazione Comunista dell’epoca, esaltarono la scelta di mettere sul mercato la spina dorsale del sistema paese. A nulla valsero i ragionamenti sull’indipendenza nazionale, sulla centralità del sistema della comunicazione nella società che si stava dischiudendo sotto i nostri occhi, sul contributo che il gruppo telefonico italiano portava nelle casse dello Stato in quegli anni. Occorreva privatizzare e liberalizzare per volontà ideologica.

Ricordo ancora gli epiteti con i quali venivo rappresentato “solo” per la richiesta di dotare il paese di una scelta di politica industriale per la sua infrastruttura comunicativa, un asset da cui dipendeva (e dipende) la collocazione industriale dell’Italia. Ricordo con quale leggerezza si accettava la “conseguenza obbligatoria” di mettere una parte del territorio in una sorta di “serie B” dal punto di vista strutturale dando per scontato che il mercato non si sarebbe sviluppato in maniera omogenea. Accusai quella politica di generare i “Sud digitali” e di condannare per diversi decenni pezzi del nostro paese ai margini dello sviluppo che si stava prefigurando. Quando oggi si analizzano i dati macroeconomici degli ultimi 30 anni ci si dimentica che, ancora oggi, ci sono aree del paese che non sono connesse in maniera decente alla “rete delle reti” e sono oggettivamente tagliate fuori dallo sviluppo.

Oggi, nel momento in cui la Francia rompe gli indugi dell’ideologia neoliberista e nazionalizza il colosso dell’energia EDF e la Germania è costretta a salvare il suo colosso del gas UNIPER, l’Italia invece di fare un passo analogo e nazionalizzare TIM consente il definitivo spezzatino restando l’unica nazione occidentale a smantellare la sua struttura industriale nel settore delle TLC.

Una vera disgrazia che ha molti padri e molte madri… ma che pagheranno subito i lavoratori dell’azienda e in futuro l’intero paese.

Vergogna!

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  1. quale e’ la ragione Sergio che induce i nostri dirigenti a fare spesso delle scelte deleterie. Nel campo della medicina, che a me sta a cuore per ragioni personali, l’italia e’ uno dei pochi paesi del mondo in cui con una laurea con lode e una specializzazione in chirurgia generale con lode (esempio il sottoscritto ed altri colleghi) si e’ ancora disoccupati. Non solo ma si puo’ arrivare a questo punto senza aver fatto mai neppure un’appendicectomia. Ovverossia passare 11 anni in un area di parcheggio senza aver mai fallito un esame. Cito questo come esempio di spreco di capitale umano e intellettuale come contraltare allo spreco di capitale, risorse e opportunita’ nell’industria che tu ci hai portato come esempio. La storia delle ambizioni e tentativi frustrati di Olivetti nell’ambito dello sviluppo dell’intelligenza artificiale che conoscerai certo meglio di me e’ emblematica. Quali sono le ragioni profonde di questa follia allucinante dell’italia? Quali sono le risposte politiche. Nel ’77 aver messo Ruberti a rettore ce ;a fecero passare come una vittoria della sinistra. Oggi sento rabbia per quella immane ipocrisia.

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