Surroghe, libertà e responsabilità umana

Dal dibattito sulle surroghe al capitalismo cognitivo

Il dibattito aperto dall’approvazione della legge Cirinnà è stato surclassato dall’annuncio della nascita del bambino che sarà riconosciuto, in Canada, da Nichi Vendola. Pensando a Nichi non posso che  pensare che alcune persone, alcune vite, viaggiano sull’orlo di quello che era il confine, il bordo del limite etico e morale delle collettività di riferimento del loro tempo. E su questo limite incarnano, su di loro, il peso necessario al lavoro di allargamento dei confini che caratterizzano le forme e la geometria dell’area della morale e della eticità delle società nelle quali vivono. La forma e la percezione di tale limite non è mai omogeneamente distribuito nel pianeta e non è né fermo né stabile nel tempo. Il suo movimento, oggi, è più simile a quello di una nuvola che a quella di un jet, un oggetto con una direzione definita e con una inerzia imponente. Pensate – per un attimo, vi prego, poi dimenticatelo, se potete – ad un personaggio  come Alfano, per fare un esempio nostrano. Il ministro del non so che cosa , inconsapevole delle proprie parole, ha candidamente dichiarato – nel cantare vittoria su quel braccio di ferro politico – che lui solo qualche anno or sono non avrebbe votato quella legge, ma che la società cambia (“evolve” mi pare che abbia usato questa parola… ma è inutile ricercare le parole precise di alcune dichiarazioni). Le parole lasciano segni e svelano le percezioni di fondo che sono legate ai propri atti. Ma lasciamo stare Alfano e le sue piccolezze. E proviamo ad andare all’essenza, al gradino, alla discontinuità che la notizia ci pone, provando a prendere insegnamento dall’accadimento, senza anteporre pre-giudizi di alcun tipo, che non sono mai utili a comprendere realmente, ma solo a schierarsi preventivamente, spesso nella trincea che si considera la migliore o la più “comoda”. Come se le nostre “idee”, le nostre convinzioni fossero non solo “immutabili”, ma addirittura “assolute”. Questo vale sia per le une, sia per le altre. E come potrebbe essere possibile il contrario in un mondo che ha assunto una velocità così alta da impedire al singolo individuo di poter anche solo percepire il numero, la portata e le implicazioni generali che le conoscenze e le potenzialità del fare umano ci mettono nelle nostre mani?
Evolvere. Questo è il punto di partenza della discussione, dal mio punto di vista. Da sempre l’umanità ha modificato i confini del proprio fare e, in funzione di tali cambiamenti, modificato le norme sociali connesse. Norme che, come i cambiamenti legati alle conoscenze, restavano stabili per un lungo periodo di tempo; tanto stabili da sembrare ai più, come eterne. Perfino consegnabili di generazione in generazione come apparenti leggi naturali e di proprietà della stessa “natura” umana. O, addirittura, assumibili come un assoluto di stampo religioso, per poi dover essere, prima o poi, trasformate, cancellate, talvolta, rinnegate. Nulla in una società è eterno se non il processo vitale che, per sua propria natura, è proprio trasformazione. Il punto che abbiamo oggi sotto gli occhi è che la velocità e la qualità di tali cambiamenti è talmente forte e profonda da mettere in campo delle vere e proprie discontinuità proprio nel campo della forma del processo vitale. Questo è il punto, a mio avviso, che dobbiamo prendere in considerazione: l’impatto della tecno-scienza sul futuro del processo evolutivo e non solo della specie umana, ma dell’intero pianeta. Dobbiamo comprendere qualità, forma e velocità di tale evoluzione. Da cosa è abilitata, perché l’umanità è sottoposta a tali enormi cambiamenti, quali sono le partite in gioco, quale modello economico-sociale e a quale prospettiva sta lavorando (esplicitamente o implicitamente) e cosa ci aspetta nei prossimi decenni. Possiamo semplicemente rifiutarla o dobbiamo piegarla ad altri esiti? Perché una cosa è certa: i problemi etico-morali che questa accelerazione ci ha posto fino ad ora sono solo i primi e sicuramente quelli più “semplici” da affrontare. Nei prossimi decenni avremo prove ancor più ardue e i vecchi confini, i vecchi schieramenti, i vecchi approcci, non saranno più utili a delineare ricette e soluzioni condivise, coerenti e facilmente catalogabili. Non potremo trovare sui nostri scaffali i libri che contengono le soluzioni a problemi così inediti che rasentano l’improponibile. Probabilmente la garanzia più alta di muovere passi “umani” sarà data dall’ascolto del nostro cuore, più che da qualche posizione pre-costituita e pre-costruita.
La cosa più significativa, a mio avviso, è che molte rotture dei confini saranno prodotte senza un vero e proprio dibattito e con scarsa consapevolezza, all’interno di una spirale di cambiamento che sarà sempre più affidata alla logica del “siamo capaci di farlo, facciamolo”. Infatti, non tutte le cose che avremo la possibilità di fare, pur avendo aspetti devastanti per il corso dell’evoluzione del pianeta, avranno l’aspetto terrificante dell’incubo della guerra termonucleare. Poche cose, probabilmente, ci consentiranno di mettere un freno alla nostra capacità di fare/applicare attraverso un dibattito che sviluppi consapevolezza, così come accadde per la bomba atomica. Non di tutte le cose che avremo tra le mani, potremmo comprenderne e percepire la loro reale portata. È già così per molte cose (si pensi alla modifica del DNA delle piante e degli animali e, in qualche misura, per quanto attiene a quello umano). Oggi diamo per scontata la brevettabilità di organismi viventi, anzi. Difendere i processi di evoluzione naturale sembra un vezzo che possano permettersi solo alcune fasce di benestanti e gli ambienti che si auto-collocano ai margini di quel confine etico-morale che il modello di sviluppo della tecno-scienza sta imponendo anche allo stesso capitalismo. Anzi dovremmo iniziare a definire questo capitalismo per la sua essenza più alta, come capitalismo cognitivo, superando l’arcaica definizione – e incapace di comprendere le nuove qualità – di capitalismo finanziario da contrapporre ad un capitalismo buono, quello industriale. Il capitalismo cognitivo ingloba quello finanziario e quello industriale perché li ha sussunti all’interno della propria funzione innovatrice e rivoluzionaria. Il capitalismo cognitivo non lavora solo al processo della sua “semplice” valorizzazione, ma ha portato al centro del proprio fare la definitiva omologazione dell’intero ambiente vivibile alla logica della sua riproduzione. Il Marx di Miseria della filosofia affermava che tale periodo sarebbe stato caratterizzato dal fatto che <<tutto ciò che gli uomini avevano considerato, fino ad allora, inalienabile, divenne anch’esso oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato. Il tempo cioè in cui anche le cose che fino ad allora venivano solo comunicate ma mai scambiate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – come la virtù, l’amore, le opinioni, la scienza, la coscienza, ecc. – divennero anch’esse oggetto di commercio. È il tempo della corruzione generale, della venialità universale, o, per dirla in termini di economia politica, il tempo in cui ogni cosa morale o materiale, divenuta valore venale, è portata al mercato per essere stimata al suo giusto valore>>. Il bel passo di Marx c’è stato ricordato, in questi giorni, dal quotidiano dei Vescovi italiani, l’Avvenire . Quasi a rinfacciare alla sinistra di aver smarrito se stessa. Quasi un richiamo ad un presunto tradimento della propria radice. A parte la tardiva presa di posizione a favore del Marx che ingaggia uno scontro teorico con il “signor Proudhon”, quel singolare personaggio che aveva la caratteristica di essere misconosciuto in Europa, poiché <<in Francia ha il diritto di essere un cattivo economista, in quanto passa per un filosofo tedesco e in Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo perchè passa per un economista francese>> – chissà cosa ne penserebbe il Craxi che basò la rottura della sinistra sulla polemica teorica tra Marx e Proudhon -. Sarebbe stato sufficiente riconoscere nel 1847 la giustezza di tale impostazione a garantire all’umanità un percorso diverso. Il punto che vorrei sommessamente ricordare che tale critica marxiana basa la propria essenza sulla divisione di classe della società e sul fatto che tale imposizione sociale sia il frutto proprio di quel capitalismo (e delle scelte delle sue classi dirigenti) che negli ultimi due secoli sono stati i grandi alleati delle gerarchie ecclesiastiche nella lotta contro i movimenti che puntavano sulla autoconsapevolezza degli individui e sulle loro battaglie per una libertà tra eguali. Una libertà che sarebbe stata diversa se la Chiesa avesse scelto di stare dall’altra parte della barricata nell’800 contaminando in positivo le scelte di liberazione dalla schiavitù di classe a cui fu condannata l’umanità. La società di oggi sarebbe sicuramente molto meno “commerciale” se la Chiesa non si fosse schierata, in maniera miope, al fianco di chi voleva mantenere in schiavitù una umanità per garantire il proprio potere, trasformando il mondo in questo tempo pieno solo di traffici e mercato. Ma ognuno ha fatto le proprie scelte e determinato degli esiti. Chissà la Chiesa ci ha anche dimostrato, come nel caso di Galileo Galilei, che si può riconoscere i propri errori. Ci si può impiegare anche qualche secolo, ma con determinata lentezza si arriva, prima o poi a meta. Non è ancora pronta a riconoscere l’errore su Giordano Bruno, ma aspettiamo fiduciosi. D’altronde, come dimostra l’ex-democristiano Alfano, oggi i tempi dei ripensamenti sono molto più veloci che in passato. E questo può sembrare un buon auspicio.
IL capitalismo cognitivo è la forma più alta del capitalismo contemporaneo, assume in sé le forme capitalistiche precedenti (industriale e finanziario) e le porta alla sua essenza suprema: quella non del “semplice” utilizzo del mondo secondo la propria logica, ma della produzione diretta di un mondo a propria logica. Il capitalismo cognitivo non utilizza solo gli apparati riproduttivi del proprio valore, ma gli apparati riproduttivi dei “valori” e mette al proprio centro l’industria dei sensi. I processi di valorizzazione assumono direttamente l’intera sfera sociale in un ribaltamento necessario alla propria valorizzazione classica: per continuare nell’opera di valorizzare di se stesso deve puntare all’inversione del vecchio rapporto tra “struttura e sovrastruttura”, tra produzione/valorizzazione e costruzione delle “condizioni di contorno” (istituzionali, sociali, culturali, ecc…). Tutte le acquisizioni devono essere messe al servizio della trasformazione, in maniera definitiva, dell’ambiente circostante e non solo sul piano sociale o economico, renderlo un territorio “omogeneo” alla propria logica, alla propria forma di “evoluzione”. Chi si sente lontano da tale processo di innovazione o risulta non utile a tale trasformazione, o si percepisce o viene vissuto come un residuo, una marginalità inutile e facilmente eliminabile. Persone, classi sociali, animali, piante, ambienti e, ben presto probabilmente, pianeti. Questo è il vero processo di terraformattazione capitalistica, che va ben al di là delle maggioranze e delle forme partito che, qui o là, in quel paese o in quello, si determinano temporaneamente. Il capitalismo cognitivo, il capitalismo ai tempi della tecno-scienza si basa sulle potenzialità delle tecniche digitali, sul piegare la gestione della conoscenza e dello scambio comunicativo alla logica della riproduzione del capitale. Il livello di sperimentazione e di produzione di esperienze che il capitale mette in campo sono enormi e, spesso, si basano sull’aspetto collaborativo per chiudere un cerchio di produzione di senso/consenso che le forme del conflitto classico non riescono neanche a intercettare. Ma il tema per le forze che si contrappongono a tale esito, come accadde ai tempi del movimento luddista, non possono semplicemente “rifiutare” le acquisizioni. Si renderebbero immediatamente marginali e marginalizzabili. Il tema è l’attraversamento di tali potenzialità e la ri-descrizione di esiti differenti.
La qualità del digitale, con le sue potenzialità destrutturanti e ristrutturanti, non sono praticate dalle forze che vorrebbero, teoricamente, porsi il tema del cambiamento. Le poche forme di opposizione si “perdono” in aspetti secondari e marginali, illudendosi di aderire alla concretezza dello scontro e, invece, sono collocate dal processo sui binari morti della marginalità di sistema. Discussioni tipo “Euro si o Euro no” per un tale processo significano poco o nulla. Qualunque moneta, all’interno di tale sistema, svolgerebbe la stessa funzione.
Al dibattito di questi giorni, che francamente mi appassiona poco, vorrei sovrapporre alcune domande sui confini etico-morali che avremo il compito (probabilmente disgraziato) di affrontare nei prossimi anni. Giustamente il mondo si indigna (senza riuscire a trovare il modo di risolverlo) sull’estrema concentrazione della ricchezza. L’1% contro il 99% scriviamo sui nostri cartelli per descrivere allo stesso tempo i confini e il livello di accumulazione della ricchezza. La percezione della stragrande maggioranza delle persone è che esiste un élite strettissima che si può permettere una vita che la stragrande maggioranza delle persone neanche sogna. L’immaginario dei più, all’interno dei nostri cubicoli di cemento delle periferie, sui vagoni delle varie metropolitane del mondo o nelle scatole di latta pagate a rate, si concentrerà sulle forme canoniche della ricchezza, quella che ci viene distribuita dai rotocalchi e dai contenitori televisivi a piene mani. Castelli, yacht, aerei personali, gioielli, serate esclusive e così via. Ma questa era la vecchia forma della ricchezza. Quella che si sta affacciando segnerà un discrimine ancor più profondo che costruirà il divario fisico-biologico tra gli umani. In questi giorni, mentre discutevamo del caso legato alla vicenda Vendola i ricercatori californiani dei HRL Laboratories hanno annunciato di aver messo a punto una tecnica per trasferire conoscenza direttamente nel cervello delle persone. Tra pochissimo tempo avremo la possibilità di “caricare” informazioni nella nostra esperienza come facciamo con un programma in un normale computer. Immaginiamo per un attimo cosa questa conoscenza potrà comportare in termini di separazione tra chi potrà permetterselo e chi no. Ma anche sul tema della qualità di tali trasferimenti di conoscenza, chi potrà garantirli e a chi. Domandiamoci cosa significherà sul piano del processo di omologazione degli schemi mentali delle persone che avranno a disposizione sovrastrutture cognitive sulle e dalle quali costruire la propria percezione del mondo e delle conoscenze. Immaginate alcune funzioni sociali affidate a persone che siano passate attraverso tali processi di “apprendimento”. Militari, giudici, funzionari, operai, ecc… altro che lotta per la “buona scuola”. Sembra un tema lontano? Anche l’inseminazione artificiale sembrava, pochi anni or sono, un confine insuperabile, non un problema “politico”, ma un problema scientifico. L’avvento della realtà virtuale sembrava un tema da film di fantascienza. Gli scaffali con i primi apparecchi sono già pronti per l’invasione di una nuova forma di connessione tra noi e il mondo; una connessione che cambierà la nostra forma di relazione più profondamente di quello che lo smartphone ha fatto in soli 10 anni e molto di più di quello che ha fatto la telefonia mobile in 25. Solo pochi anni or sono non pensavamo neanche alla possibilità di “stampare” oggetti. Oggi non solo tale possibilità sta prefigurando una strada di una possibile obsolescenza della vecchia forma industriale, ma le possibilità di “stampare” si sono estese a prodotti prima non idustrializzabili come le case o a prodotti impensabili come il cibo o addirittura fantascientifici come gli organi. È di poche settimane fa l’annuncio della riuscita della stampa dei primi organi prodotti con cellule umane coltivate e poi assemblate da una stampante 3D. Tra pochissimo tempo passeremo dai Botox Party a chissà quali sostituzioni per aumentare la qualità della nostra immagine o la durata della nostra vita. Ovviamente per chi potrà permetterselo. Poniamo il tema della cure genetiche, del loro costo, della possibilità che l’1% del mondo possa permettersi un livello di cure legato alla tecno-scienza in grado di selezionare e modificare il proprio percorso evolutivo. Ci sono laboratori che, solo due settimane fa, hanno annunciato di aver scoperto il gene del sonno per combattere l’insonnia. Altri hanno studiano la possibilità di limitare o annullare il bisogno fisiologico del sonno. Le masse potranno finalmente “dormire” e l’1% potrà liberarsi, forse in segreto, del bisogno di dormire per aumentare la propria performance di vita? La sanità di questo secolo sarà di massa e massificata nella forma del vecchio “sistema” sanitario (fatto di protocolli uguali per tutti e con risultati approssimativi) e personalizzata per chi potrà permettersi una capacità di spesa adeguata al livello di interventi personalizzabili?
Ecco una chiave generale di approccio per questo secolo che va inserita accanto al tema delle capacità del nostro fare: gli individui sono messi nelle stesse condizioni? Hanno la stessa dignità e conoscenza di fronte ad una scelta? Forse non basta più una semplice chiave etico-morale per affrontare la qualità dei problemi che la rivoluzione digitale ha innescato sul fare umano. Forse serve un mazzo di chiavi da usare contemporaneamente per abilitare processi che non hanno più nulla di lineare. Non basta più pensare di poter essere liberi fino al confine della libertà dell’altro, ma di poter essere liberi solo “insieme” alla libertà dell’altro. L’altro da noi farebbe quella scelta se fosse nelle nostre stesse condizioni di conoscenza, di capacità economica? se avesse lo stesso nostro “grado di libertà”? E io posso veramente e serenamente agire quella “mia” libertà se non rispetta tale pre-condizione?
La logica del sistema sta mangiando se stessa, le basi proprie del vivere. Et propter vitam vivendi perdere causas ci ammoniva Decimo Giunio Giovenale un paio di millenni or sono, quello che ammoniva in un altro famoso suo passaggio che un “corpo può essere sano solo all’interno di una mente sana”. Per vivere perdiamo ciò che è la ragione del vivere. La cosa su cui ci ha spinto questo modello economico-sociale. Responsabilità e complicità sono molteplici.
L’individuo e l’intero genere umano hanno una responsabilità ormai definitiva, una vera e propria biforcazione: scegliere la forma che la libertà avrà nei prossimi secoli e tale forma, per me, necessita della responsabile consapevolezza condivisa del proprio fare, singolo o collettivo che sia. Senza una scelta lega il nostro fare al cuore, alla consapevolezza profonda, avremo sempre più difficoltà a trovare soluzioni in un mondo che corre ad una velocità che non riusciamo neanche a mappare.
Stephen Hawking denuncia-preannuncia da anni: entro questo secolo l’umano sarà in grado di produrre una specie nuova di vita, quella che alcuni chiamano post-umana. La conoscenza che stiamo accumulando ci porrà questo scelta prima di quanto si potesse pensare fino a poco fa e non possiamo lasciar decidere né alla sola potenzialità che la tecno-scienza ci mette nelle mani, né agli interessi di omologazione della vita al modello economico sociale che il capitalismo cognitivo sta producendo. Abbiamo una scelta da fare.
Saremo capaci di farla?

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